Condivisione di clown Shrek del 21/09/2025

Appena tornato dalla casa di Matteo, un luogo diverso dalla realtà della corsia di un ospedale, dove la comunicazione avviene con uno sguardo e una bambina ti regala un sorriso, ti rendi conto che essere lì in quel momento rappresenta comunque un momento di serenità per i piccoli ospiti. A movimentare l’atmosfera c’è il piccolo guerriero testardo di N, che non parla ma si fa capire perfettamente, anche quando ti prende in giro o ti conquista per avere un biscotto in più.
Come sempre, torno con la consapevolezza di essere parte fortunata della vita, riconoscendo che, pur affrontando momenti difficili, nulla è paragonabile a ciò che vive un genitore di questi angeli.
Viva la vita, che spesso diamo per scontata, ma che scontata non è affatto.

Volontariato: altruismo, egoismo e quel senso di colpa che (forse) non serve

Molte persone che fanno volontariato, prima o poi, si pongono la stessa domanda:
“Lo faccio davvero solo per gli altri? O anche per me stesso?”

A volte questa domanda arriva la sera, tornando a casa dopo una giornata passata a strappare un sorriso, a far compagnia a chi è solo, o a regalare qualche ora di leggerezza a chi ne ha più bisogno. Ci si sente bene — e subito, dentro di noi, nasce un dubbio: “Ma allora non sono abbastanza altruista? Sono egoista?”

Il dilemma del prigioniero: perché la collaborazione conviene

Per capire questa sensazione, possiamo partire da un concetto che molti non conoscono: il dilemma del prigioniero.

Immaginiamo due ladri arrestati. La polizia li interroga separatamente e offre loro un accordo:

Se uno confessa e l’altro no, chi confessa esce libero e l’altro prende 10 anni.

Se tutti e due confessano, fanno 5 anni a testa.

Se nessuno confessa, la polizia non ha prove: 1 anno per un reato minore.

Cosa succede? Se si fidassero, farebbero solo 1 anno. Ma per paura di essere traditi, confessano entrambi. Risultato: 5 anni ciascuno invece di 1.

Morale: spesso pensare solo a se stessi fa stare tutti peggio. La collaborazione, invece, migliora le cose per tutti.

Nel volontariato succede proprio questo: le persone scelgono di fidarsi, di donare tempo ed energie senza calcolare troppo. E così si crea qualcosa di buono che torna indietro: chi riceve aiuto e chi aiuta sono entrambi “più ricchi” dopo quell’incontro.

Il dilemma dell’altruista: quando troppa generosità blocca

Ma esiste anche l’altro lato della medaglia, meno noto: il dilemma dell’altruista.

Immagina due amici, Anna e Luca. È rimasta l’ultima fetta di torta:

Anna: “Mangiala tu, voglio che tu sia felice!”

Luca: “No, mangiala tu! Ci tengo più io alla tua felicità!”

Risultato? Nessuno la mangia. La torta resta lì, si secca e finisce nella pattumiera. Nessuno prende l’iniziativa, per non sembrare egoista. Troppa generosità finisce per non portare a nulla.

Nel volontariato può accadere lo stesso: troppe persone che non sanno dire di no, troppe responsabilità passate di mano in mano, troppi “fai tu, se vuoi”. Alla fine un progetto si blocca, un’idea resta chiusa in un cassetto, un aiuto non arriva mai dove dovrebbe.

Quando aiutare fa bene a chi aiuta

Allora sorge spontanea la domanda: è davvero un problema se fare volontariato ci fa stare bene?

La risposta è no. Anzi: è una fortuna.
Aiutare gli altri ci aiuta. Ci toglie dal nostro piccolo mondo chiuso, ci fa sentire parte di qualcosa di più grande, ci fa conoscere persone, ci regala sorrisi veri. È normale — e sano — che anche noi volontari riceviamo qualcosa.

Un volontariato sano non è martirio, né sacrificio cieco: è scambio. Dare e ricevere. Con generosità, certo, ma anche con quella piccola “ricompensa interiore” che ci spinge a tornare, a rimetterci il naso rosso da clown, a prestare orecchio e mani a chi non ha voce.

Trovare l’equilibrio

Alla fine, il segreto sta tutto nell’equilibrio.

Troppo egoismo? Non si collabora, non si cresce.

Troppo altruismo? Si rischia di bloccarsi o di svuotarsi.

Un po’ di egoismo buono? Tiene acceso il motore dell’altruismo vero.

Non dobbiamo vergognarci se aiutare ci rende felici: significa solo che stiamo facendo bene, a noi e agli altri.
E come nel dilemma del prigioniero, possiamo fidarci l’uno dell’altro.
E come nella storia della torta, possiamo imparare a dividere, senza aspettare per forza che decida qualcun altro.

Conclusione

Chi fa volontariato non è un santo irraggiungibile. È una persona normale, con emozioni normali. E se torna a casa felice dopo aver donato un sorriso, vuol dire che quel sorriso è diventato doppio: uno per chi lo ha ricevuto, uno per chi lo ha dato.

Non è egoismo. È la prova che la generosità funziona, quando è umana, concreta, viva.

Patch Adams e la Clownterapia: Un Approccio Rivoluzionario

Quando si parla di clownterapia, il primo nome che viene in mente è spesso quello di Patch Adams. Medico, attivista e fondatore del Gesundheit! Institute, Hunter “Patch” Adams ha rivoluzionato l’idea di cura, portando il sorriso come strumento terapeutico fondamentale.

Chi è Patch Adams?

Patch Adams nasce nel 1945 negli Stati Uniti e, dopo aver vissuto un’adolescenza difficile, decide di dedicare la sua vita alla medicina con un approccio innovativo: la guarigione attraverso la gioia. Nel 1971 fonda il Gesundheit! Institute, un progetto che mira a unire medicina tradizionale e umanità, offrendo cure gratuite e un ambiente in cui il paziente non sia solo un numero, ma una persona da accogliere con amore e rispetto. La sua storia è stata resa celebre dal film “Patch Adams” con Robin Williams, che ha contribuito a diffondere il suo messaggio di speranza e rivoluzione nel mondo della sanità.

L’Approccio di Patch Adams alla Clownterapia

Per Patch Adams, la clownterapia non è solo un modo per far ridere i pazienti, ma una filosofia di vita. Egli considera la risata una vera e propria medicina capace di abbattere le barriere tra medico e paziente, alleviare il dolore e migliorare la qualità della vita. Il suo metodo si basa su un’interazione profonda con il paziente, attraverso l’empatia, il contatto umano e la gioia condivisa.

Il Confronto con Michael Christensen

Se Patch Adams ha dato alla clownterapia una dimensione filosofica e umanistica, Michael Christensen ha avuto un approccio più strutturato e professionale. Il suo metodo prevede una formazione specifica per i clown, con tecniche studiate per adattarsi alle esigenze dei pazienti e del personale sanitario. Mentre Patch Adams vede il clown come un mezzo per rivoluzionare il sistema sanitario, Christensen ha lavorato per inserirlo in modo professionale e metodico all’interno degli ospedali.

Due Visioni Complementari

Pur con approcci differenti, sia Patch Adams che Michael Christensen hanno contribuito a trasformare il modo in cui la medicina e l’umanità si incontrano negli ospedali. Il primo con una visione più filosofica e rivoluzionaria, il secondo con un metodo più strutturato e applicabile all’interno del sistema sanitario. In entrambi i casi, la clownterapia ha dimostrato di essere un potente strumento per alleviare la sofferenza e portare luce nei momenti più difficili.

La loro eredità continua a ispirare volontari e professionisti della clownterapia in tutto il mondo, dimostrando che un sorriso può davvero fare la differenza.

I PIONIERI DELLA CLOWNTERAPIA: MICHAEL CHRISTENSEN

La clownterapia, oggi diffusa in tutto il mondo, nasce dall’intuizione che un sorriso possa curare tanto quanto una medicina. Accanto al celebre Patch Adams, figura simbolo di questa pratica, c’è anche la toccante storia del dottor Christensen, un uomo che trasformò il dolore personale in una missione per alleviare la sofferenza degli altri.

Christensen crebbe in una famiglia unita, ma la sua infanzia venne segnata da una tragedia che avrebbe influenzato tutta la sua vita: la perdita prematura del fratello minore a causa di una grave malattia. Quel dolore indelebile lasciò in Christensen non solo un senso di vuoto, ma anche una profonda consapevolezza di quanto sia importante donare conforto nei momenti più bui.

Durante gli studi in medicina, Christensen si rese conto che le cure tradizionali non sempre riuscivano a guarire l’anima dei pazienti, specialmente dei bambini. L’esperienza della malattia e della perdita del fratello gli aveva insegnato che il supporto emotivo poteva fare una differenza enorme. Quando scoprì il lavoro di Patch Adams, Christensen sentì una forte affinità con il suo approccio. Decise allora di unire la propria esperienza personale alla medicina e di dedicarsi alla clownterapia.

Christensen trovò nella clownterapia una via per elaborare il proprio lutto e dare un senso alla perdita. Si dedicò ai bambini malati, convinto che ogni sorriso strappato fosse un piccolo atto di resistenza contro la sofferenza. Spesso parlava del fratello ai suoi piccoli pazienti, trasformando la sua storia in un racconto di speranza e resilienza. Il suo messaggio era chiaro: anche nei momenti più difficili, possiamo trovare una ragione per sorridere.

Christensen fu un pioniere della clownterapia, non solo come medico ma come uomo che aveva vissuto il dolore sulla propria pelle. Il suo approccio empatico e umano continua a ispirare clown-dottori in tutto il mondo. La sua storia ci ricorda che, anche di fronte alla perdita, possiamo scegliere di costruire qualcosa di meraviglioso, portando luce nelle vite degli altri.

La scienza della felicità: le canzoni che mettono il buonumore

La musica è una forza straordinaria che può trasformare l’umore, stimolare l’energia e persino aiutare a guarire. Ma quali sono le canzoni che la scienza ha dimostrato essere le più efficaci per generare allegria? Scopriamolo insieme!

Quando ascoltiamo musica, il nostro cervello rilascia dopamina, il neurotrasmettitore del piacere, e endorfine, le sostanze chimiche che riducono lo stress. Alcuni brani, grazie al loro ritmo e alle tonalità, riescono a stimolare in modo particolarmente intenso queste reazioni.

La ricerca ha dimostrato che:

Ritmi vivaci (120-140 bpm) fanno aumentare il battito cardiaco e danno energia.
Tonalità maggiori creano un senso di leggerezza e positività.
Testi ottimistici trasmettono emozioni di speranza e gioia.

Ecco una selezione di brani, studiati e confermati dalla scienza, che migliorano l’umore:

“Don’t Stop Me Now” – Queen
Un inno alla libertà e all’energia, con un ritmo travolgente.

“Dancing Queen” – ABBA
Perfetta per ballare e sentirsi al centro dell’attenzione.

“Happy” – Pharrell Williams
Un capolavoro contemporaneo di positività, con un ritmo irresistibile.

“Walking on Sunshine” – Katrina and The Waves
Una melodia luminosa che fa pensare a giornate spensierate.

“Uptown Funk” – Mark Ronson feat. Bruno Mars
Funk e groove per alzare il livello di energia e divertimento.

“Good Vibrations” – The Beach Boys
Armonie perfette per trasmettere sensazioni di gioia e pace.

“I Will Survive” – Gloria Gaynor
Un inno di resilienza e forza, con un ritmo che fa muovere chiunque.

“Shake It Off” – Taylor Swift
Testi motivanti e un ritmo pop che invita a lasciare andare le preoccupazioni.

“Wake Me Up Before You Go-Go” – Wham!
Vivace e piena di energia anni ’80, perfetta per un sorriso immediato.

“Can’t Stop the Feeling!” – Justin Timberlake
Ritmi moderni e vibrazioni positive che fanno venir voglia di ballare.

Questi brani non solo migliorano l’umore personale, ma possono diventare uno strumento potentissimo nelle attività di clownterapia. Usare canzoni come queste durante le visite in ospedale può trasformare il clima di un reparto, regalando momenti di leggerezza e spensieratezza a pazienti e familiari.


Clownterapia e creatività: come nascono i nostri personaggi e sketch

La clownterapia è un’arte che supera il semplice far ridere; richiede empatia e comprensione del pubblico. Ogni clown-dottore di Scopriamoci Clown interpreta un personaggio unico, basato su personalità e abilità artistiche. Esaminiamo il processo creativo dalla concezione alla realizzazione degli sketch.

La creazione di un clown nasce dall’ispirazione. I clown-dottori si ispirano a esperienze personali, vita quotidiana, o personaggi storici e letterari. Ogni clown incarna un tratto distintivo, esagerato o buffo, per catturare l’attenzione, creando un personaggio memorabile per i pazienti.

Il costume è essenziale per il personaggio. Deve essere colorato, eccentrico, e comodo. Oltre ai costumi, i clown-dottori indossano camici colorati che aggiungono professionalità al loro aspetto. Questi camici, decorati con disegni vivaci, rendono il personaggio riconoscibile e servono a portare oggetti di scena. Simboleggiano un ponte tra medicina e divertimento, creando un ambiente sereno.

Definito il personaggio, si scrivono sketch collaborando in team. Gli sketch includono giochi di parole, magia, e scenette. L’obiettivo è coinvolgere il pubblico, stimolando partecipazione attiva e adattandosi all’età e sensibilità del pubblico.

La clownterapia richiede improvvisazione, adattando sketch e interazione in tempo reale. Questo rende ogni incontro unico, mantenendo l’atmosfera leggera. L’improvvisazione nasce dalla pratica e familiarità con il personaggio, sviluppato nei laboratori.

Scopriamoci Clown organizza laboratori dove volontari affinano personaggi e sketch. Questi incontri supportano lo sviluppo artistico e costruiscono legami nel team. Nei laboratori, i clown ricevono feedback e nuove idee per arricchire il repertorio.

La clownterapia richiede passione e immaginazione. Ogni personaggio e sketch racconta una storia unica, ma l’impatto sui pazienti è ciò che conta. Siamo orgogliosi di portare avanti questa missione e regalare sorrisi, un clown alla volta.

La giornata tipo di un volontario clown: dietro le quinte del sorriso

Dietro ogni sorriso portato in ospedale c’è il lavoro silenzioso di persone che dedicano il loro tempo per regalare momenti di leggerezza a chi ne ha più bisogno. Essere un volontario clown non significa soltanto indossare un naso rosso e un costume colorato, ma prepararsi ogni giorno a entrare in empatia con chi affronta situazioni difficili, offrendo non solo divertimento, ma anche sostegno emotivo. Scopriamo insieme cosa succede durante una tipica giornata di volontariato di un clown-dottore dell’associazione Scopriamoci Clown.

Ogni giornata di volontariato inizia con una routine di preparazione. Anche il più esperto dei clown-dottori si dedica a questo momento, entrando nello spirito giusto per portare conforto e allegria. La preparazione include il trucco, la scelta degli abiti più vivaci e la raccolta degli oggetti di scena come palloncini, bolle di sapone, piccoli strumenti musicali e oggetti per effettuare delle magie.

Per molti clown volontari, questa routine serve a ricordare lo scopo del loro lavoro e a prepararsi mentalmente per l’impegno emotivo che li aspetta. Essere un clown in ospedale richiede infatti una sensibilità particolare, poiché ogni paziente reagisce in modo diverso e il volontario deve saper capire le emozioni della persona che ha di fronte.

Dopo essersi preparati, i clown-dottori si dirigono verso i reparti. L’ingresso in ospedale è accompagnato da sorrisi e saluti al personale medico, che riconosce nei clown una presenza positiva e collaborativa. Gli infermieri e i medici, spesso, forniscono ai clown informazioni sullo stato d’animo dei pazienti, aiutandoli a personalizzare l’approccio con ciascuno.

La magia del sorriso comincia ancor prima di entrare nelle stanze: anche nei corridoi si diffonde un’atmosfera di leggerezza, con i bambini che si affacciano dalle porte e i genitori che sorridono nel vedere una presenza colorata e amichevole.

Ogni stanza rappresenta un mondo a sé, e il clown si adatta a ogni paziente con delicatezza. Per i bambini, può voler dire entrare con una canzone o un piccolo trucco di magia, creando un legame che lascia spazio al gioco. Per gli anziani, spesso è sufficiente un dialogo affettuoso o un aneddoto divertente per riaccendere un sorriso che magari era nascosto da tempo.

Ci sono momenti in cui l’atmosfera cambia, come quando il clown capisce che il paziente ha bisogno di parlare, più che di ridere. In queste occasioni, il volontario si mette a disposizione per ascoltare, diventando una presenza rassicurante. La clownterapia, infatti, non riguarda solo la risata, ma anche l’empatia e il rispetto per ogni stato d’animo.

Quando arriva il momento di concludere, i clown-dottori salutano i pazienti, lasciando piccoli ricordi come palloncini oppure semplici portafortuna. Sono semplici oggetti, ma per i pazienti rappresentano un simbolo di quei momenti felici trascorsi insieme.

Per i volontari di Scopriamoci Clown, ogni sorriso strappato è una piccola vittoria, e anche se la giornata è finita, la sensazione di aver fatto qualcosa di significativo li accompagna a lungo.

Alla fine del giro delle stanze, i volontari ricaricano le energie e condividono le esperienze vissute. Questi momenti sono essenziali per confrontarsi e ricevere sostegno dal gruppo, soprattutto dopo incontri particolarmente intensi. La forza della clownterapia sta anche nella squadra e nella solidarietà tra i volontari, che si aiutano a superare le emozioni più forti.

Origini della Clownterapia

Mentre la clownterapia come pratica strutturata e organizzata è relativamente recente, le sue radici affondano in profondità nella storia.

Angelo Paoli: Uno dei primi esempi di clownterapia “ante litteram” si può trovare nella figura di Angelo Paoli, un sacerdote carmelitano italiano vissuto tra il 1642 e il 1720. Per alleviare le sofferenze dei malati, si travestiva da buffone, portando allegria e sollievo con la sua presenza.

Norman Cousins: Negli anni ’80, il giornalista scientifico Norman Cousins contribuì a diffondere l’idea che il riso e l’umorismo potessero avere effetti positivi sulla salute. La sua esperienza personale con la spondilite anchilosante, curata in parte con l’aiuto di film comici, stimolò numerose ricerche sugli effetti delle emozioni sul sistema immunitario.

Hunter “Patch” Adams: Il medico e attivista sociale Hunter Patch Adams è considerato uno dei padri fondatori della clownterapia moderna. La sua storia, raccontata nel film “Patch Adams” con Robin Williams, ha contribuito a diffondere la pratica in tutto il mondo.

Anni ’80: La nascita della clownterapia moderna: Negli anni ’80, in modo indipendente, Karen Ridd in Canada e Michael Christensen a New York diedero vita a progetti di clownterapia negli ospedali, portando il sorriso e la fantasia ai bambini malati.

Turno del 28.09.2024 – Condivisione di clown Orso

Il sorriso della dolce F…., il ciao ed il bacio con la mano del piccolo M… di un anno e mezzo, il faccione imbarazzato di G… con i suoi sette anni e le fragorose risate del simpatico e spavaldo Victor Osimhen (non ricordo il nome ma è identico a Victor), anche lui adolescente.
Non so se dimenticherò mai questi piccoli.
Ho sognato tanto questo momento. Quando mi sono avvicinato all’associazione partivo con una idea ben precisa; chi come me si ritiene una persona fortunata deve dare, deve donare, PUNTO.
Ed oggi finalmente ho toccato con mano questa gioia. Il poter donare un po’ del proprio tempo e capire quanto questo mio poco tempo sia invece importante per quelle ragazze e quei ragazzi.
Uscire da un mondo e da una società materiale, a tratti squallida e triste per toccare invece con mano i veri valori, le vere emozioni, ciò per cui vale la pena vivere.