Molte persone che fanno volontariato, prima o poi, si pongono la stessa domanda:
“Lo faccio davvero solo per gli altri? O anche per me stesso?”
A volte questa domanda arriva la sera, tornando a casa dopo una giornata passata a strappare un sorriso, a far compagnia a chi è solo, o a regalare qualche ora di leggerezza a chi ne ha più bisogno. Ci si sente bene — e subito, dentro di noi, nasce un dubbio: “Ma allora non sono abbastanza altruista? Sono egoista?”
Il dilemma del prigioniero: perché la collaborazione conviene
Per capire questa sensazione, possiamo partire da un concetto che molti non conoscono: il dilemma del prigioniero.
Immaginiamo due ladri arrestati. La polizia li interroga separatamente e offre loro un accordo:
Se uno confessa e l’altro no, chi confessa esce libero e l’altro prende 10 anni.
Se tutti e due confessano, fanno 5 anni a testa.
Se nessuno confessa, la polizia non ha prove: 1 anno per un reato minore.
Cosa succede? Se si fidassero, farebbero solo 1 anno. Ma per paura di essere traditi, confessano entrambi. Risultato: 5 anni ciascuno invece di 1.
Morale: spesso pensare solo a se stessi fa stare tutti peggio. La collaborazione, invece, migliora le cose per tutti.
Nel volontariato succede proprio questo: le persone scelgono di fidarsi, di donare tempo ed energie senza calcolare troppo. E così si crea qualcosa di buono che torna indietro: chi riceve aiuto e chi aiuta sono entrambi “più ricchi” dopo quell’incontro.
Il dilemma dell’altruista: quando troppa generosità blocca
Ma esiste anche l’altro lato della medaglia, meno noto: il dilemma dell’altruista.
Immagina due amici, Anna e Luca. È rimasta l’ultima fetta di torta:
Anna: “Mangiala tu, voglio che tu sia felice!”
Luca: “No, mangiala tu! Ci tengo più io alla tua felicità!”
Risultato? Nessuno la mangia. La torta resta lì, si secca e finisce nella pattumiera. Nessuno prende l’iniziativa, per non sembrare egoista. Troppa generosità finisce per non portare a nulla.
Nel volontariato può accadere lo stesso: troppe persone che non sanno dire di no, troppe responsabilità passate di mano in mano, troppi “fai tu, se vuoi”. Alla fine un progetto si blocca, un’idea resta chiusa in un cassetto, un aiuto non arriva mai dove dovrebbe.
Quando aiutare fa bene a chi aiuta
Allora sorge spontanea la domanda: è davvero un problema se fare volontariato ci fa stare bene?
La risposta è no. Anzi: è una fortuna.
Aiutare gli altri ci aiuta. Ci toglie dal nostro piccolo mondo chiuso, ci fa sentire parte di qualcosa di più grande, ci fa conoscere persone, ci regala sorrisi veri. È normale — e sano — che anche noi volontari riceviamo qualcosa.
Un volontariato sano non è martirio, né sacrificio cieco: è scambio. Dare e ricevere. Con generosità, certo, ma anche con quella piccola “ricompensa interiore” che ci spinge a tornare, a rimetterci il naso rosso da clown, a prestare orecchio e mani a chi non ha voce.
Trovare l’equilibrio
Alla fine, il segreto sta tutto nell’equilibrio.
Troppo egoismo? Non si collabora, non si cresce.
Troppo altruismo? Si rischia di bloccarsi o di svuotarsi.
Un po’ di egoismo buono? Tiene acceso il motore dell’altruismo vero.
Non dobbiamo vergognarci se aiutare ci rende felici: significa solo che stiamo facendo bene, a noi e agli altri.
E come nel dilemma del prigioniero, possiamo fidarci l’uno dell’altro.
E come nella storia della torta, possiamo imparare a dividere, senza aspettare per forza che decida qualcun altro.
Conclusione
Chi fa volontariato non è un santo irraggiungibile. È una persona normale, con emozioni normali. E se torna a casa felice dopo aver donato un sorriso, vuol dire che quel sorriso è diventato doppio: uno per chi lo ha ricevuto, uno per chi lo ha dato.
Non è egoismo. È la prova che la generosità funziona, quando è umana, concreta, viva.
Posted: Settembre 10, 2025 by Clownuser
Volontariato: altruismo, egoismo e quel senso di colpa che (forse) non serve
Molte persone che fanno volontariato, prima o poi, si pongono la stessa domanda:
“Lo faccio davvero solo per gli altri? O anche per me stesso?”
A volte questa domanda arriva la sera, tornando a casa dopo una giornata passata a strappare un sorriso, a far compagnia a chi è solo, o a regalare qualche ora di leggerezza a chi ne ha più bisogno. Ci si sente bene — e subito, dentro di noi, nasce un dubbio: “Ma allora non sono abbastanza altruista? Sono egoista?”
Il dilemma del prigioniero: perché la collaborazione conviene
Per capire questa sensazione, possiamo partire da un concetto che molti non conoscono: il dilemma del prigioniero.
Immaginiamo due ladri arrestati. La polizia li interroga separatamente e offre loro un accordo:
Se uno confessa e l’altro no, chi confessa esce libero e l’altro prende 10 anni.
Se tutti e due confessano, fanno 5 anni a testa.
Se nessuno confessa, la polizia non ha prove: 1 anno per un reato minore.
Cosa succede? Se si fidassero, farebbero solo 1 anno. Ma per paura di essere traditi, confessano entrambi. Risultato: 5 anni ciascuno invece di 1.
Morale: spesso pensare solo a se stessi fa stare tutti peggio. La collaborazione, invece, migliora le cose per tutti.
Nel volontariato succede proprio questo: le persone scelgono di fidarsi, di donare tempo ed energie senza calcolare troppo. E così si crea qualcosa di buono che torna indietro: chi riceve aiuto e chi aiuta sono entrambi “più ricchi” dopo quell’incontro.
Il dilemma dell’altruista: quando troppa generosità blocca
Ma esiste anche l’altro lato della medaglia, meno noto: il dilemma dell’altruista.
Immagina due amici, Anna e Luca. È rimasta l’ultima fetta di torta:
Anna: “Mangiala tu, voglio che tu sia felice!”
Luca: “No, mangiala tu! Ci tengo più io alla tua felicità!”
Risultato? Nessuno la mangia. La torta resta lì, si secca e finisce nella pattumiera. Nessuno prende l’iniziativa, per non sembrare egoista. Troppa generosità finisce per non portare a nulla.
Nel volontariato può accadere lo stesso: troppe persone che non sanno dire di no, troppe responsabilità passate di mano in mano, troppi “fai tu, se vuoi”. Alla fine un progetto si blocca, un’idea resta chiusa in un cassetto, un aiuto non arriva mai dove dovrebbe.
Quando aiutare fa bene a chi aiuta
Allora sorge spontanea la domanda: è davvero un problema se fare volontariato ci fa stare bene?
La risposta è no. Anzi: è una fortuna.
Aiutare gli altri ci aiuta. Ci toglie dal nostro piccolo mondo chiuso, ci fa sentire parte di qualcosa di più grande, ci fa conoscere persone, ci regala sorrisi veri. È normale — e sano — che anche noi volontari riceviamo qualcosa.
Un volontariato sano non è martirio, né sacrificio cieco: è scambio. Dare e ricevere. Con generosità, certo, ma anche con quella piccola “ricompensa interiore” che ci spinge a tornare, a rimetterci il naso rosso da clown, a prestare orecchio e mani a chi non ha voce.
Trovare l’equilibrio
Alla fine, il segreto sta tutto nell’equilibrio.
Troppo egoismo? Non si collabora, non si cresce.
Troppo altruismo? Si rischia di bloccarsi o di svuotarsi.
Un po’ di egoismo buono? Tiene acceso il motore dell’altruismo vero.
Non dobbiamo vergognarci se aiutare ci rende felici: significa solo che stiamo facendo bene, a noi e agli altri.
E come nel dilemma del prigioniero, possiamo fidarci l’uno dell’altro.
E come nella storia della torta, possiamo imparare a dividere, senza aspettare per forza che decida qualcun altro.
Conclusione
Chi fa volontariato non è un santo irraggiungibile. È una persona normale, con emozioni normali. E se torna a casa felice dopo aver donato un sorriso, vuol dire che quel sorriso è diventato doppio: uno per chi lo ha ricevuto, uno per chi lo ha dato.
Non è egoismo. È la prova che la generosità funziona, quando è umana, concreta, viva.
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